domenica 30 ottobre 2011

Faust

L'epica quotidianità del male



Faust è il capitolo conclusivo della tetralogia del potere di Alexander Sokurov. Dopo Hitler (Moloch), Lenin (Taurus) e l'imperatore Hirohito (Il sole), il grande cineasta russo volge la sua attenzione a uno dei miti più celebri della letteratura moderna, quel Faust che ha avuto nel capolavoro di Goethe la sua più completa e tragica rappresentazione.

Sokurov affronta il personaggio e la sua leggenda con rispetto per i suoi illustri predecessori, ma allo stesso tempo se ne distacca totalmente. Il suo Faust è un uomo qualunque, privo di quella carica emotiva che lo ha sempre caratterizzato. Il mondo intorno a lui è freddo e cinico, dominato da una natura quasi leopardiana nella sua malignità (e, forse non a caso, il film è stato girato in Islanda), fatta di paesaggi desolati e ostili, esaltati da una fotografia che predilige i grigi e i marroni, con un'assenza quasi totale di luce e colori vivaci.
La vera innovazione, però, Sokurov la apporta al personaggio di Mefistofele, umano, troppo umano, quasi una proiezione del lato malvagio di Faust, una rappresentazione vivente della sporcizia della sua coscienza, disposta a rinunciare all'anima in cambio della passione. Mefistofele è qui sullo stesso piano di Faust, non gli è inferiore, dialoga con lui da pari a pari, vagando per un mondo in cui il suo ruolo di diavolo è sminuito e la sua malvagità non risalta più di troppo. La sua deformità ci ricorda la sua vera natura, ma la viltà e la volgarità del personaggio sono lontanissimi dal Mefistofele di Goethe, maestro di inganni e dotato di grande sapienza.

Sokurov ci porta ancora una volta a passeggio nella banalità del male, e lo fa con il film forse più complesso dell'intera tetralogia, girato in 4:3, con una trama densa di significati ma lenta e priva di azione. Un film che per temi e potenza visiva non può non essere considerato un capolavoro, ma che risulta eccessivamente ermetico e artificialmente "difficile" in numerosi passaggi.
Un film per pochi, insomma, un momento di grandissimo cinema dall'accessibilità però complessa, che rischia di allontanare piuttosto che avvicinare il pubblico dal cinema d'autore. Proprio per questo resto perplesso per la decisione di assegnargli il Leone d'oro, un premio senza dubbio meritato per la forza dell'opera, ma che avrebbe forse recato maggior beneficio al cinema "alto" se fosse andato a un film ugualmente meritevole, ma meno complesso dal punto di vista filologico e interpretativo.

Faust è senza dubbio un grandissimo film, una di quelle opere che, se riescono a toccare le corde giuste, rimangono per sempre nel cuore dello spettatore per forza visiva e impatto emotivo. Allo stesso tempo, tuttavia, è anche un film difficile, "chiuso" e complesso, un film forse troppo elitario per essere ritenuto appieno un capolavoro.


***1/2

Pier

lunedì 24 ottobre 2011

Quentin Tarantino, professione talent scout

Quando si pensa a Tarantino, si pensa al regista, al re dello splatter, ai suoi celebri dialoghi, a un modo di fare cinema che, al di là dei gusti, ha segnato gli ultimi dieci-quindici anni della settima arte.

Si finisce così per dimenticare una delle più grande doti di Quentin: la capacità di scovare e lanciare giovani talenti, il coraggio di osare laddove molti preferiscono rifugiarsi sul nome che "fa cassetta".

Pensiamo solo a Inglorious Basterds: tre dei ruoli principali sono affidati a un oscuro attore austriaco, una giovane sconosciuta francese e a un attore tedesco naturalizzato irlandese, che a leggerlo così sembra una barzelletta.

Ebbene, dopo due anni il primo, Christoph Waltz, è diventato uno degli attori più richiesti di Hollywood, dopo aver vinto l'Oscar per il film di Tarantino ed aver prenotato una nomination grazie alla splendida prova offerta nell'ultimo film di Polanski.

La seconda, Melanie Laurent è una delle attrici più richieste a livello internazionale, nonchè una star in Francia, e ha già offerto un'altra ottima interpretazione in quel piccolo gioiello che è Il Concerto.

Il terzo, Michael Fassbender, ha interpretato il giovane Magneto in X-Men, stregato la giuria di Venezia con la sua intensa interpretazione in Shame, e ha convinto quanto Viggo Mortensen nell'ultimo film di Cronenberg.

Se a questi aggiungiamo la scoperta di Uma Thurman e il rilancio della carriera di Travolta, capiamo come Tarantino, oltre che un cineasta d'eccezione, sia anche uno straordinario scopritore di talenti, una dote questa forse anche più importante delle sue capacità registiche.

In conclusione, se siete dei giovani attori e volete fare carriera in fretta fate uno squillo a Quintino. Mal che vada farete la fine di Eli Roth, che proprio schifo schifo non fa.

Pier

sabato 8 ottobre 2011

Drive

Piacere assoluto



Questa sarà una recensione un po' particolare. Perchè Drive non si recensisce: si guarda. Perchè raccontando la trama (uno stuntman dalla doppia vita di notte si trasforma in guidatore per criminali in fuga) non si può rendere tutto ciò che la trama non dice.

La sceneggiatura di Drive è essenziale, originale sotto alcuni punti di vista ma deludente in altri: il protagonista è un personaggio originale e che conquista, ma i dialoghi sono scarni, rari e poco significativi. Quello che davvero conquista è la regia: perfetta, e giustamente premiata a Cannes. Un uso della musica sapiente, che fa diventare la colonna sonora parte del linguaggio del film, del suo modo di esprimersi, della sua poetica. Una fotografia che definire eccezionale è riduttivo, con un'attenzione per luce e atmosfera al limite del maniacale. Un montaggio che si esalta nelle scene di inseguimento, ma che rispetta le pause di riflessione che il film ogni tanto si prende, esaltando le sensazioni e le reazioni dei personaggi.

Ma quello che conquista in particolare è la straordinaria abilità di mischiare e accostare dolcezza e violenza, scene pulp e momenti introspettivi, dialoghi intimistici e scene d'azione di altissimo livello. Drive è un film che procede su due binari paralleli, e lo fa senza perdere di vista nemmeno per un attimo il senso della storia, arricchendola di sguardi, sensazioni, emozioni forte e profondamente diverse.

A questa regia si unisce la straordinaria prova di Ryan Gosling, attore sempre più maturo e per il quale spendo fin d'ora il mio personale endorsement per l'Oscar: se non lo vince quest'anno tra Drive e Le idi di marzo non lo vince più. La sua prova conquista e convince, e ci regala un personaggio complesso e semplice al tempo stesso, con mille sfaccettature ma un codice di comportamento chiaro e univoco, un personaggio che dovresti odiare ma non puoi non amare fin dal primo secondo. Un personaggio che diventerà senza dubbio un cult.

Drive è un film da guardare, contemplare, un film in cui immergersi, da cui farsi abbracciare al primo minuto per uscirne solo all'ultimo, sempre sulle note di una musica anni 80 e accompagnati da titoli rosa shocking.

*****

Pier